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Il Nebbiolo Olfattivo

Il Nebbiolo Olfattivo

È la risposta nobile al Pinot Nero !

Certamente è meno diffuso sul piano globale, si tratta di una delle varietà più stanziali in assoluto, la patria del Nebbiolo è un angolino ristretto sulle colline nebbiose del nord Italia.

 Proprio qui viene celebrato con vini rossi maestosi, acidi e dalla trama tannica assertiva che necessitano di lungo invecchiamento per svelare un complesso intreccio di aromi evocando rose e viole, prugne e cioccolato amaro, cachi e ciliegia in confettura, liquirizia e cannella, catrame e tartufi. 

Sul piano storico la definizione di Plinio il Vecchio che descrive “una vite rampicante, l’unica in grado di resistere alla nebbia”, appare in contrasto con la scarsa reputazione dei romani sulla qualità dei vini del tempo. Un primo riferimento al “Nibiol” è un documento del tredicesimo secolo in cui si ritiene vitigno locale adatto al clima della regione. Successivamente si fa menzione del “Nibiolum”in un decreto che vieta l’importazione e l’uso di vini di altre regioni.

Eppure il primo vino Nebbiolo secco fu creato nel diciannovesimo secolo per iniziativa di Camillo Benso conte di Cavour in seguito all’incarico conferito ad un enologo francese affinché sviluppasse un vino in grado di conservarsi bene basato sul modello dei vini bordolesi; l’illuminato politico ne fa richiesta sia per la propria cantina che per la Marchesa Falletti di Barolo, anch’ella promotrice, entusiasta e motivata del nuovo vino aristocratico, il Barolo appunto.

Sarà denominato e riconosciuto “Il vino dei re e il re dei vini”.

Sul piano viticolo il vitigno Nebbiolo esige le migliori esposizioni altrimenti non giungerebbe ad adeguata maturazione e si presta meno di altre varietà a rese eccessive.

Varietà dal frutto piccolo con buccia sottile e resistente e dal bouquet composito con sentori classici e comuni di rose appassite e viole, lampone, toni balsamici, foglie di tabacco, spezie e catrame.

Appare valido “il viaggio” attraverso i distretti più rappresentativi in funzione dell’espressione aromatica relativa iniziando dal vino più storico.

 

Gli aromi del Barolo.

Due piccoli affluenti del fiume Tanaro suddividono la zona del Barolo in tre dorsali collinari definendosi particolarmente per le diverse tipologie di terreni: i siti di Barolo e La Morra con marne calcaree di epoca tortoniana offrono un vino aereo e fragrante dai cru più rinomati di Brunate, Cerequio e Cannubi; è qui che l’alto contenuto in minerali spiega l’espressività del bouquet con nette sfumature di liquirizia. La zona che comprende Castiglione Falletto, Serralunga d’Alba e Monforte d’Alba, presenta varietà pedologiche ricche in arenaria per un vino certo più robusto e longevo in cui la paletta aromatica assume caratteri speziati e tostati, da cui si distinguono i crus Villero, Lazzarito, Bussia e Ginestra.

 

Gli aromi del Barbaresco.

Barbaresco detiene meno della metà della superficie del suo vicino langarolo con vigne ad altezze inferiori godendo di un microclima più temperato che garantisce una vendemmia anticipata; la denominazione si contraddistingue dai suoli omogenei di marna calcarea simili ai terreni tortoniani ma cambia la composizione minerale che conferisce al vino degli aromi diversi: il comune di Barbaresco regala vini dal magnifico equilibrio aromatico con fragranze di viole e bacche fresche, per il sito di Neive più a est con vini più austeri e inizialmente più introspettivi sul piano aromatico, e più a sud c’è Treiso con suoli pesanti in cui il Nebbiolo si traduce si più tannico ma al contempo più aperto, elegante e profumato. Il Barolo e il Barbaresco possono coniugare note affumicate, cuoio, spezie, foglie e marmellata. Le versioni più vecchie suggeriscono effluvi di incenso e di cera, di funghi, di tartufi.

 

Gli aromi del Nebbiolo in tutte le sue declinazioni.

Sulla riva sinistra del Tanaro si estendono le colline del Roero, distretto più sabbioso e meno altimetrico con vini già prediletti e reputati nel passato dai circoli aristocratici di Torino e dal ducato di Savoia; il prototipo è un vino meno austero, più fruttato e fragrante: viola, lampone, fragoline e pesca i suoi aromi.

E poi nell’alto Piemonte troviamo la Spanna nome locale del Nebbiolo in un territorio unificato da geologia, pedologia, clima e storia, seppur manifestato con diverse declinazioni: ognuna dichiara il suo punto di forza.

Il Gattinara che è prodotto sulla riva destra del fiume Sesia in ampi terreni di ghiaia vulcanica origina un vino di carattere che marca un bouquet fiorito con una tipica nota di genziana.

Il Ghemme sulla riva opposta nel Novarese, considerato storicamente di elevata vocazione offre un vino piacevole da cui si riconoscono tratti tipici di violetta e ciliegia matura.

Bramaterra più a nord alligna su un terreno vulcanico con vino corposo il cui timbro aromatico riflette un elegante aroma di viole e di rose.

Boca è la rappresentazione di un vino vigoroso e tannico dal bouquet trasversale e temporale, in primis viola mammola e melograno, poi tè nero e ruggine.

Lessona che copre una superficie più ridotta nei confini del proprio comune e poggia su terreni di natura ghiaiosa produce un vino robusto con un bouquet minerale e salmastro.

Più a valle sempre nelle colline novaresi meritano recensione Sizzano e Fara tra sinuose colline moreniche e suoli eterogenei che includono ghiaia calcarea e porfido vulcanico, i vini sono generalmente prodotti con uve complementari al Nebbiolo e che quindi riflettono in minor misura la tipicità varietale.

Il Nebbiolo cambia nuovamente nome prima dell’ingresso in Valle d’Aosta dove è conosciuto come Picutener. Ripide terrazze su suoli ghiaiosi e circa quaranta ettari originano il già famoso Carema di epoca romana dal bouquet estremamente netto ed espressivo di rose appassite, menta e catrame !

La Valle d’Aosta è la patria del Picotendro, alias Nebbiolo, tra i più rappresentativi dei vitigni rossi che gode di felici maturazioni grazie al caldo clima estivo e soprattutto alle terrazze vitate che sfruttano l’irraggiamento solare; l’area di interesse è il tratto centrale e meridionale della valle attraversata dalla Dora Baltea fino a seicento metri di altitudine per ricavarne il Donnas o Donnaz, e l’Arnad-Montjovet; vini a tratti rustici e aciduli il cui bouquet rivendica note di violetta ed erbe aromatiche, more e lamponi, a cui segue con un suggestivo sapore di pepe macinato.

Il nebbiolo di Valtellina noto qui come Chiavennasca è coltivato sui ripidi declivi della valle dell’Adda con vigneti terrazzati adeguatamente esposte; il vino nel complesso è più leggero rispetto ai corrispettivi piemontesi e si registra un comune denominatore nelle cinque sottozone di coltivazione dalle note di fiori e di erbe che con l’età sviluppano sensibili sentori di mandorla e nocciola.

Nello specifico il Sassella esprime bouquet più raffinato, il Grumello più tostato, l’Inferno più speziato, il Valgella più floreale, il Maroggia più delicato; si distingue altresì lo Sforzato o Sfursat di Valtellina, un vino da uve Nebbiolo appassite per qualche mese il cui risultato detta suggestioni di prugna secca e marasca, cannella e chiodi di garofano, caffè e cioccolato.

 

All’estero il vitigno Nebbiolo è registrato con superfici coltivate in Messico nella Baja California, in Argentina nel distretto di San Juan, in Australia e California.

Generatore di vini fini, complessi e memorabili, il Nebbiolo resta fedele alla sua terra di origine.

Varietà superiore seppur pretenziosa e bizzarra, “regina delle uve nere”, sin dalle origini si è sempre ritrovata come autentico porta bandiera della valorizzazione territoriale.

Luisito Perazzo