La ricerca del proprio benessere percorre strade molto diverse. Sono molteplici gli approcci che si possono intraprendere per migliorare il nostro stile di vita così da sentirci più a nostro agio con noi stessi e con le persone che ci circondano.
La tendenza negli ultimi anni sta portando tutto il settore del wellness verso l’utilizzo di prodotti naturali, allontanandosi per quanto possibile dalla chimica “assoluta” che ha contraddistinto soprattutto gli anni ’80.
Un ritorno agli antichi rituali in uso nell’antica Grecia, dove oli essenziali, piante, spezie, infusi, tutto veniva largamente utilizzato per dare soprattutto sollievo al corpo, per migliorarne lo stato di salute.
È quella che oggi chiamiamo aromaterapia, concetto che in realtà è stato elaborato alla fine degli anni ’20 da un cosmetologo francese che si accorse delle proprietà cicatrizzanti dell’olio di lavanda. L’aromaterapia utilizza l’olio essenziale estratto, a esempio, da una pianta, per stimolare i sensi influenzando di conseguenza delle funzioni corporee. Si inala la sostanza aromatica per stimolare l’olfatto, e la frizione eseguita durante l’applicazione favorisce poi la penetrazione della sostanza attiva.
Ma è nel 1989 che questo concetto subisce una sorta di evoluzione, e nasce così il concetto di aromacologia: descrivere cioè il collegamento esistente tra gli effetti delle fragranze e la fisio-psicologia. L’aromaterapia rappresenta una metodologia di cura mediante applicazione e inalazione degli estratti delle piante, mentre l’aromacologia studia gli effetti psicologici e fisiologici derivanti dalle stimolazioni olfattive dei costituenti che compongono le fragranze.
Vengono studiate le relazioni tra vari tipi di stimoli olfattivi e le emozioni e reazioni provocate sfruttando la diretta relazioni tra odori e cervello.
L’oggetto della ricerca è rivolto a come la stimolazione olfattiva si ripercuota sull’umore, sul comportamento e sulla fisiologia.
Questi studi si sono intrecciati molto anche con il marketing. Si creano molecole di sintesi atte a portare il consumatore ad acquistare una cosa rispetto a un’altra (nella cosmesi, nei prodotti per la pulizia, nel cibo…).
Tutto questo perché?
Gli studi in sostanza si basano sulle associazioni che il nostro cervello opera in reazione e relazione a un odore.
La facoltà di psicologia della Brown University ha prodotto una relazione che certifica come gli odori possano influire nel mood di una persona o sulle sue performance lavorative.
Questo non deriva dal fatto che gli odori in qualche modo alterino le nostre percezioni, non sono delle sostanze che funzionano come delle droghe. Infatti, perché questa influenza si verifichi, è necessario che quel determinato odore abbia provocato in noi una altrettanto determinata reazione in una esperienza reale, vissuta.
Un nuovo odore associato a un’esperienza nuova crea un piccolo archivio nel nostro sistema limbico. Per esempio, la prima volta in cui andiamo dal dentista: sentiamo l’odore del disinfettante, cui segue una quasi sempre spiacevole esperienza. Da quel momento, l’odore di disinfettante genererà in noi sensazioni di ansia, agitazione, malessere.
Ed è proprio nell’ambito dentistico che è stato fatto un esperimento per valutare il potere dell’aromacologia.
Diversi pazienti che dovevano sottoporsi allo stesso tipo di intervento sono stati messi in attesa in una stanza in cui in alcuni casi è stato messo in diffusione olio essenziale di arancia (noto per le sue proprietà rilassanti, calmanti e antistress), mentre in altri casi no.
A tutti i pazienti sono stati presi i parametri vitali due volte prima dell’intervento, e nel caso dei pazienti sottoposti all’aroma, i valori della pressione sanguigna, frequenza cardiaca e respiratoria erano significativamente più bassi rispetto ai valori rilevati nell’altro gruppo di pazienti.
Questo ha prodotto un decremento del livello di stress e di ansia nei pazienti.
L’esperienza olfattiva inizia ancora prima della nascita, quando i sapori sperimentati dalla mamma tramite la sua dieta vengono veicolati al bambino tramite il liquido amniotico.
Se durante la gravidanza una mamma ha una dieta molto saporita, è molto più facile che il bambino, nel corso della vita (a volte anche da adulto) sia più predisposto ad accettare certi tipi di odori e di conseguenza di sapori.
Ed è comunque da bambini che creiamo la maggior parte del nostro bagaglio di esperienze olfattive che condizioneranno poi i nostri comportamenti futuri. Da piccoli tutto è nuove ed è da registrare.
Un altro fattore da considerare nel modo in cui gli odori influiscono sul nostro umore è il contesto, che possiamo valutare in due diversi modi.
Il contesto sociale, in primis. È stato fatto un esperimento con il wintergreen, olio che viene usato in medicina e nell’industria dolciaria. Nel Regno Unito, il pungente odore è associato ad un medicamento che veniva usato durante la Guerra. Negli Stati Uniti invece ha ricordato quasi a tutti caramelle e dolci natalizi.
In secondo luogo, il contesto in cui un odore si presenta. Possiamo avere una risposta ad un aroma molto più intensa tanto più è inaspettato il fatto che quell’odore si presenti in qual momento, o in quel luogo.
Può sembrare molto banale, ma gli odori cui associamo un bel ricordo ci fanno sentire meglio, mentre al contrario stiamo male se sentiamo un odore che evoca pensieri spiacevoli. La cosa meno scontata è che questo ha implicazioni a livello fisiologico. La reazione a un odore non si limita soltanto a modificare il nostro umore, ma può aumentare il battito cardiaco, può farci sbattere le ciglia con maggiore frequenza e farci sudare di più.
L’olfatto è il più potente dei nostri sensi. Il 75% delle emozioni che viviamo durante la giornata è influenzato non da quello che vediamo, sentiamo o tocchiamo, ma dagli odori che passano attraverso il nostro naso.