Assaggiamo per capire se un cibo di piace e lo vogliamo consumare. Ma degustare è diverso, perché vuol dire sforzarsi di capire cosa compone un sapore e quali sono gli attributi desiderabili. E quindi a cosa serve degustare? Perché sforzarsi di capire quali aromi e quali gusti percepiamo?
Iniziamo col dire che degustare è un piacere. Il piacere può stare per i principianti nel fascino dell’avventura di scoprire un mondo nuovo e per gli esperti nella capacità di valutare se un vino è buono e desiderabile, o nel mettere alla prova se stessi.
Più in generale, capire ed essere in grado di riconoscere, gli attributi di un vino ci rende più sicuri e convincenti sia a casa, sia in contesti sociali (come può essere quello di scegliere un vino al ristorante). Questa “confidenza” ci dona piacere.
Tuttavia ci sono anche delle motivazioni “scientifiche” e per queste dobbiamo scomodare gli studiosi (psicologi, chimici, etc.) che nel corso dei decenni hanno svolto ricerche ed esperimenti volti a comprendere cosa succede nella nostra testa quando mettiamo in bocca un cibo o un vino. Ecco di seguito le tre motivazioni principali.
PRIMO. L’atto di assaggiare è una delle attività che coinvolge di più il nostro cervello perché mette in collegamento sensazioni provenienti da apparati sensoriali diversi: la vista, l’olfatto, il gusto (amaro, acido, salato, dolce, umami), il tatto della bocca (le sensazioni di piccante, di grassezza, di astringenza, etc). E’ quindi un attività molto stimolante. Tra i vari sensi utilizzati “l’olfatto è lo strumento per la degustazione più potente che abbiamo” e “il profumo di un vino è probabilmente il suo attributo migliore, ma è anche il più difficile da descrivere e valutare” (Jancis Robinson). L’olfatto inoltre entra in gioco sia per via esterna, quando annusiamo un cibo, sia per via retronasale, quando mettiamo il cibo in bocca e deglutiamo.
SECONDO. La nostra memoria olfattiva è “plastica”, nel senso che quando associamo un odore ad una memoria, difficilmente poi la cambiamo o torniamo indietro e difficilmente lo dimentichiamo. Vuol dire che più sensazioni percepiamo e memorizziamo, più saremo spinti ad andare in cerca, e quindi ad apprezzare, odori nuovi e più fini. Questo spiega perché chi si avvicina alla degustazione del vino inizialmente preferisce vini fruttati (odori “immediati”), mentre sommelier e degustatori esperti preferiscono vini con aromi evoluti, meno comuni, come quelli da affinamento in botte.
TERZO. L’abilità di ricordare gli odori gioca un ruolo fondamentale nella piacevolezza dell’esperienza di assaggio del vino. Alcuni studi sembrano indicare che siamo in grado di riconoscere mediamente 3 odori (solo 3 odori!) all’interno di un bouquet composto da molti sentori diversi. Ma allo stesso tempo, se abbiamo già memorizzato precedentemente una combinazione di odori, questa costituisce un “odore” nuovo nel nostro cervello, a sé stante, che saremo in grado di riconoscere. Per esempio se abbiamo precedentemente memorizzato chiodi di garofano+banana = A e pesca+limone = B quando sentiremo in un vino A e B il nostro cervello capirà che ci sono i quattro sentori: chiodi di garofano, banana, pesca e limone. Ecco quindi che se abbiamo degustato-percepito-memorizzato molte combinazioni di odori diverse, allora saremo più bravi a riconoscere la composizione di bouquet anche molto ampi e complessi.
Infine due suggerimenti. Se volete degustare un vino, cercate di farlo prima del pasto o comunque “non” a stomaco pieno. Questo perché la sensazione di fame acuisce i sensi legati alla degustazione. La capacità del nostro olfatto diminuisce con l’utilizzo ripetuto e continuato e torna ad essere normale dopo un po’ di riposo. Questo avviene a causa dell’affaticamento, dell’adattamento (ad esempio il cervello tende a “filtrare” gli odori già sentiti) e alla desensibilizzazione (i recettori olfattivi diventano saturi di molecole odorose). È quindi difficile degustare tanti vini di seguito a meno di essere bene allenati e di prendere delle pause all’aria aperta.
Per una lettura completa sull’argomento vi consigliamo il libro Neuroenology, di Gordon M. Shepherd. Un libro a tratti un po’ tecnico, ma pieno di dettagli su esperimenti e teoria riguardo alla “scienza” della degustazione.
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